MOSE
Bocca di Chioggia
Aldo Aymonino
Il progetto è stato disegnato come un unico percorso che collega il pontile dell’ACTV dell’ultima fermata di Pellestrina alla lanterna posta in punta al nuovo molo nord. Il percorso, lungo circa quattro chilometri, è concepito come una passeggiata sul bordo dell’acqua punteggiata di accadimenti architettonico-paesaggistici che configurano un nuovo sistema ambientale in grado di confrontarsi e dialogare con le emergenze storiche ed ecologiche presenti sul sito, con la strategia ultima di densificare gli accadimenti sul bordo dell’acqua e, di conseguenza, scoraggiare l’attraversamento della zona a tutela naturalistica del Caroman, facendola così diventare “marginale” rispetto ai percorsi e alle funzioni del tempo libero e della balneazione. Percorso limite quindi, ma anche elemento capace di coniugare e connettere le differenze e i molteplici desiderata – spesso in apparente opposizione – delle aree “specialistiche” presenti nell’area (riserva naturalistica, funzioni d’ingegneria in sicurezza, tempo libero, passaggio flotta pescherecci, tutela e rivitalizzazione dei monumenti storici, ecc.). Il progetto ingloba la parte di molo esistente tra il Forte di Caroman e le cosidette “Polle”, mettendolo a sistema con il nuovo percorso. Tale percorso, partendo dalla fermata dei mezzi pubblici, prosegue con una pedana lignea in aggetto sulla massicciata esistente di fronte all’ex Colonia, per giungere alla spiaggia lagunare chiusa dalla punta dove è situata la statua della madonnina. Da lì prosegue sulla massicciata che borda lo stagno sul fianco del Forte di Caroman (e da dove questo probabilmente attinge acqua per il suo fossato) per arrivare a ricongiungersi al molo esistente (Fig. 1). Di fronte al Forte, dove era previsto il rimpascimento di tre ettari circa creato dallo scavo dei due bacini di navigazione, il progetto disegna una nuova isola/parco che, seppur seguendo la forma originaria prevista per il rimpascimento, stabilisce nuovi rapporti con il territorio circostante. Il primo atto di questa nuova strategia riguarda la scelta di lasciare un canale tra il nuovo parco e il molo esistente: questo consente di mantenere inalterata la linea di costa esistente, identificando chiaramente il succedersi temporale delle modificazioni avvenute nell’area. Il secondo è legato alla conformazione morfologica del nuovo parco: essa è pensata come continuità di geometrie e di rimandi visivi con il Forte, enfatizzandone la presenza (oggi il manufatto storico è praticamente invisibile), ed iniziando con esso un dialogo a distanza senza volere adottare nessuna tattica mimetica capace di ingenerare equivoci storici e malintesi stilistici. Il disegno del parterre suddivide il nuovo parco in aree cuneiformi pavimentate e piantumate in maniera differente (legno, legno e pietra, tappezzante erboso, canneti, ecc.), e che suggeriscono modi d’uso plurimi dell’area, mentre le due colline artificiali consentono, superato visivamente l’ostacolo del muro esistente (la cui quota è di circa +4,50 m. sul medio mare), di riuscire a vedere il Forte ed il disegno del suo fossato. Il percorso del nuovo parco verso la laguna è attrezzato con piccoli attracchi per le barche lagunari mentre un chiosco pluriuso consente nella buona stagione riparo, ristoro e la sosta nell’area vicina alla conca di navigazione (Fig. 2). Il parco è inoltre il luogo privilegiato per una visione ancora paesaggisticamente integra dell’area chioggiotta, dato che la presenza sulla spalla sud del Forte di S. Felice esclude allo sguardo i manufatti edilizi intensivi di Sottomarina, esaltando la presenza dell’abitato storico. Nell’area di pertinenza del MOSE si è optato per una omologazione dei materiali che consentissero di identificare immediatamente l’area specialistica delle ingegnerie vere e proprie. Il primo di questi elementi è il sistema di separazione e di recinzione tra l’area naturalistica e il sistema dell’ingegneria idraulica: esso è infatti il punto in cui collidono esigenze apparentemente inconciliabili. Si è quindi optato per una recinzione allo stesso tempo solida e trasparente, a disegno ed andamento variabile e con una sua precisa connotazione volumetrica, formata dalla sovrapposizione di elementi naturali (le canne lagunari, precipua essenza locale, contenute nello spessore della recinzione stessa) e artificiali (la griglia tipo keller), che riuscissero a configurare questa dualità in un disegno compiuto. Una pedana lignea, leggermente soprelevata rispetto alla quota dell’oasi naturalistica, consente di continuare la passeggiata verso il molo senza interferire con l’area protetta. All’interno del recinto in sicurezza, a bordo delle paratie, l’edificio di servizio della spalla nord si adagia su dei movimenti di terra (che contengono gli ingressi agli spazi tecnici del sottosuolo e consentono al contempo di raggiungere le grandi macchine poste in copertura senza passare all’interno dell’edificio) che richiamano l’andamento delle dune retrostanti (Fig.3). Due grandi pareti sghembe in griglia keller comprimono i lati lunghi dell’edificio, mentre un rivestimento in U-glass chiude i lati ortogonali all’acqua, dove si innestano le grandi rampe (costruite con una tecnica di alleggerimento dei pesi per evitare sovraccarichi sui moli) che portano alla schermatura delle macchine in copertura. Questa è pensata come una trasmutazione di una serie di chiglie di barche capovolte, rivestite in materiale fotovoltaico, che impediscono alle acque meteoriche di raggiungere i macchinari, consentendo all’aria e agli eventuali fumi provenienti da essi di disperdersi nell’aria (Fig. 4). Il piccolo edificio di controllo delle conche di navigazione riprende, semplificandoli gli etimi linguistici e materici dell’edificio maggiore. L’unico elemento che interrompe l’inviluppo della griglia è la grande vetrata della sala di controllo. Nell’area esterna alla zona di stretta pertinenza MOSE, sul molo nord, alcune piccole pedane lignee, che consentono un uso differenziato, fanno da prodromo al grande belvedere/centrale fotovoltaica, vera e propria macchina per la produzione di energia alternativa e al contempo per il loisir all’aria aperta (Fig. 5). Essa è simultaneamente una vasta copertura che consente il riparo all’ombra nelle ore più calde della giornata, e una pedana percorribile capace, attraverso una rampa continua, di portare il fruitore ad una quota di +9,00 m. sul medio mare, da dove poter osservare, prendendo il sole, il variegato e complesso paesaggio circostante. Lungo il molo, ad intervalli regolari, sono state previste delle discese a mare facilitate, formate da due blocchi di pietra che, sporgendo dal filo del molo stesso, consentono un migliore accesso in acqua attraverso una scala ricavata tra i blocchi stessi. I blocchi, trattati con finitura antisdrucciolo, possono servire come luoghi di sosta al bordo dell’acqua. Il progetto sposta il baricentro dell’area verso il nuovo percorso, lasciando le aree circostanti libere dalla pressione del turismo e della balneazione.
Aldo Aymonino
Chadi El Khoury
Dietro ogni costruzione architettonica si nasconde, o si dovrebbe nascondere, un percorso intellettuale quanto estetico. Un edificio non può essere solo bello, ma dovrebbe far parte del suo tempo, della sua cultura. Il lavoro di Aldo Aymonino ne è una dimostrazione brillante. Non è presente nessuna linea, nessuna finestra senza anima, nessuna porta, nessun materiale senza il frutto di una lunga riflessione. Aldo Aymonino (Fig. 1) nasce a Roma nel 1953, dove si laurea con il relatore Ludovico Quaroni nel 1980 con lode. Gli anni universitari sono stati un periodo per Aymonino sia di intenso studio sia di avvio della futura attività professionale, frutto di un talento che gli permette di stringere prestigiose relazioni che gli consentiranno di ottenere importanti collaborazioni: nel 1977, infatti, inizia a lavorare presso lo studio dell’architetto Aldo Rossi e, una volta laureato, presso lo studio del professore Carlo Aymonino, inoltre nel 1982 collabora con il professore Franco Purini (1). Questa parentesi costituisce un ulteriore tassello fondamentale per la sua formazione. L’esperienza lavorativa con Aldo Rossi permette al giovane architetto di cogliere alcuni punti chiave dell’architettura: Inizialmente una ricerca legata al materiale e poi il problema del rapporto tra le forme e la funzione. L'uso dei materiali deve prevedere la costruzione di un luogo e la sua trasformazione. In Rossi è sempre esistita un'attenzione alle forme e alle cose ma Aymonino cerca altri parametri. Infatti, considerando che da Vitruvio fino a Le Corbusier, l’architettura principalmente negli scritti era trattata come “arte di costruire”, diventa per lui “arte di concepire”. Questo cambiamento non è neutrale poiché rende l’architettura non un oggetto da costruire i cui trattati e dottrine definiscono il contorno, ma un oggetto di conoscenze che le teorie devono costruire. Per conoscere veramente Aldo Aymonino è necessaria la lettura dei suoi scritti, tra cui Funzione e simbolo nell'architettura di Louis Kahn del 1992, Spazi pubblici contemporanei: Architettura a Volume Zero del 2006 e Architettura a Zero Cubatura del 2007. Kahn crea nuovi spazi, scrive Aymonino, «senza dividerli fisicamente ma semplicemente schermandoli, frazionandoli e rifacendoli confluire, affidando solo alla disposizione degli elementi murari e strutturali la gerarchizzazione e la destinazione d’uso dell’architettura» (2). Aldo Aymonino ha legato indissolubilmente la sua esperienza di architetto con l’amore per lo studio e l’esigenza di condividere i frutti di tale attività attraverso l’insegnamento. Dal 1991 al 2000 ha insegnato nel dipartimento Architettura e Urbanistica nella Facoltà di Architettura di Pescara, diventando successivamente Professore ordinario di Composizione architettonica presso l’Università Iuav di Venezia (Fig. 2). Ha tenuto conferenze sul suo lavoro di ricerca scientifica e progettuale in università italiane e straniere. Ottiene numerosi riconoscimenti fra cui il primo premio “Architettura italiana della giovane generazione” e la partecipazione alla mostra Architecture on the Horizon organizzata dal RIBA (Royal Institute of British Architects) di Londra. Ha vinto nel 1994 il 1° premio nel concorso internazionale per la progettazione di un nuovo quartiere di 2200 alloggi e servizi con standard bioclimatici a Vienna (Austria). Partecipa e vince il concorso bandito dal Comune di Roma "Le piazze di quartiere" nel 1996, dove approfondisce forme di sperimentazione applicate a categorie tradizionali (Fig. 3). È attualmente progettista consulente del Consorzio “Venezia Nuova” per la realizzazione delle opere a terra del sistema di barriere mobili per la salvaguardia della laguna di Venezia del Progetto MOSE (3) (Fig. 4). Nel 1999 fonda lo studio Seste Engineering a Roma, che focalizza la ricerca progettuale in particolare sulla progettazione dello spazio pubblico del paesaggio e delle infrastrutture. Fra le ultime realizzazioni dello studio, l’allestimento della mostra inaugurale del MAXXI di Roma dedicata a Luigi Moretti, la progettazione di un parco a Villafranca (VE), il parco di viale Europa a Bari e il Piano di assetto territoriale per il comune di Ponzano Veneto (TV) (4). Parole, disegni ed edifici gli hanno permesso di distinguersi come uno dei grandi architetti intriso nella contemporaneità dell’arte e dell’architettura italiana (Fig. 5).
Note (1) Tratto dal blog http://laboratorio09.wordpress.com/aldo-aymonino (2) AYMONINO A., Funzione e simbolo nell'architettura di Louis Kahn, Roma, CLEAR, 1992. (3) Ibidem, nota 1. (4) Tratto dal sito http://www.studioseste.it/progetti
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