Patrimonio
Disvelare storie: un’esperienza italiana contemporanea
Maria Teresa Cutrì
«Questo è, pensavo allora … il valore eterno dell’arte italiana, questa fiducia nella vita per tutti gli uomini.» Carlo Levi, 1954 (1) «In definitiva ciò che è poetico è ciò che è profondamente radicato e rapportato alla società. Non vi è cosa più partecipante dell’arte che nasce da un sofferto legame con la vita collettiva» Riccardo Dalisi, 1999 (2) «Questi racconti … nascono da micro viaggi fatti nel territorio, per lo più da solo. I luoghi … sono i luoghi concreti della mia terra, ma anche luoghi dell’immaginario, … del ricordo. Piccoli viaggi nelle ore più calde del giorno perché: la luce del primo pomeriggio … è quella più adatta a vedere le cose nella loro autenticità. Aiuta a dare un nome alle cose …». Davide Vargas, 2009 (3)
Un acciarino, poche monete, un paio di vecchi stivali, una cassetta di terra … Piccole cose dimenticate, apparentemente inutili, insignificanti, costituiscono quell’eredità del padre (pater-monium) di molti protagonisti delle fiabe. Cose che appartengono al ricordo come la propria casa e il paesaggio sullo sfondo, che attraverso uno sguardo e un sentire diversi, rinnovati dalla propria fantasia, piccoli protagonisti sapranno ri-conoscere e ri-nominare aprendo il tempo a quel salto creativo in grado di trasformare e generare una nuova esistenza. Ricordo, fantasia e immaginazione, cioè patrimonio e progetto. Entità coincidenti. Carlo Levi conclude una fase importante della ricerca architettonica, particolarmente sentita in Italia, avviata tra macerie e necessità della ricostruzione nel secondo dopoguerra, aprendo all’attualità della ricerca che in anni recenti si è andata interrogando sul tema del patrimonio, che è patrimonio territoriale, in direzione del suo essere materiale esposto al divenire che lo fa luogo privilegiato della crisi della città e del progetto di architettura dal quale ripartire per impostare (anche) la trasformazione dell’esistente. Che sempre più si rivela nell’assenza. Levi nel 1954 punta l’attenzione su due nodi fondamentali: tempo e nominazione. La contemporaneità umana dei tempi, il tempo attuale come presenza di infiniti tempi particolari e il dare nome alle cose, che significa identificarle in uno spazio attuale. Forza del patrimonio italiano dove ogni cosa ha un proprio nome. La frattura tra cose e nome è quanto Davide Vargas, molti anni dopo, sperimenta e racconta nei suoi micro viaggi nel territorio casertano ultradenso di architetture, attività e misfatti paesistici. L’esercizio dello sguardo sulla distanza gli permette di cogliere, nella luce netta del primo pomeriggio, storie e trame sullo sfondo ancora da svelare. Ri-conoscere le cose, atto di appropriazione della nostra eredità, del territorio, insieme magmatico e storico, accumulo e mescolanza di frammenti, che lavorano sulla distanza, come evocazione di racconti inespressi e in profondità, come relazione tra diversi strati temporali: «I resti autentici dell’opus reticulatum del muro a cui ci appoggiavamo mangiando … davano allo scrittore, che non vi era come noi abituato, l’emozione del senso fisico della presenza del tempo …» (4). Una profondità tuttavia sempre irraggiungibile poiché, anche nel tempo e nella distanza del mito che rivela l’ichnos, l’impronta, lo scavo, all’origine di ogni fondazione, presuppone che, ancora precedente alle nostre impronte, «… esista del senso nel mondo» (5). È la realtà mobile del patrimonio, la sua forma transitoria, che viene ad essere indagata in direzione di quel salto in avanti proprio del progetto come azione che separa e distingue intervenendo sul corpo della città, dell’architettura, del territorio. Ora «Mettendo al centro i vuoti della città come ferite da cui ripartire per costruire finalmente cose vere. Facce. Edifici. Pensieri» (6). Ed è proprio in virtù della sua mobilità e quindi apertura e incompiutezza che il patrimonio, resiste e persiste al tempo (chronos) e si identifica con il progetto, nel suo essere il prodotto di «… un passato sempre rinnovato…» (7) che possiamo configurare come successivi atti creativi che appartengono al tempo di kairos, dell’evento del conoscere «traccia e tempo di costruzione ontologica» (8) di ri-fondazione di valori, materiali e immateriali, attribuiti da persone e società che si succedono dando vita alla ricerca e alla sperimentazione di nuove relazioni uomo-territorio, uomo-abitare. Il tema sta tutto dentro alla crisi del nostro abitare che (semplificando) ha fatto (in parte) della velocità degli spostamenti e della comunicazione il catalizzatore di una sempre più accentuata separazione-discontinuità dove la velocità banalizza la distanza appiattendo in superficie la profondità, ciò che rende indifferente l’abitare e il luogo dell’abitare come luogo centrale dell’aver cura per un sistema virtualmente interconnesso in superficie, che azzera, in una sorta di hub spaziali, la relazione dell’uomo con il proprio ambiente. E d’altra parte la crisi mette in evidenza forse un paradosso, l’aver lavorato lungamente su un’idea di città fissa così come ci è stato consegnata alla fine dell’Ottocento. Riccardo Dalisi e Davide Vargas architetti, hanno lavorato e lavorano sperimentando la trasformazione in territori complessi, dalle province terremotate dell’avellinese (Dalisi) alla conurbazione della Piana Casertana (Vargas). La Piana-Terra di Lavoro, parte dell’antica Campania Felix che Quaroni alla fine degli anni Sessanta pensava di poter recuperare, legare e conservare, trasformandola, all’Agro Pontino (Campania Romana) (9), sperimentando nella modernità e favorito dai recenti collegamenti territoriali (l’Autostrada del Sole) quel legame tra agricoltura e architettura da svilupparsi in una lunga striscia abitata affacciata sul Tirreno, come chiave di lettura di un rinnovato rapporto uomo-terra. A un progetto fatto letteratura è succeduto un magma indistinto di attività dismesse, produttive, residenziali, discariche e cave, scheletri incompiuti di edifici (Figg. 1-2). Vuoto. Nel quale galleggiano, irreali e irridenti, eredità rifiutate di disegno e trame stratificate nel tempo: archeologie importanti, città normanne fino al complesso Reggia - San Leucio - Acquedotto Carolino (Figg. 3-5). Buchi di progetto che individuano e governano, slegati dalla storia e dall’eredità del padre, la Piana: frammentarietà, discontinuità, inquinamento e sottoutilizzo. È qui in questi vuoti attraversati e immaginati (Fig. 6) nei micro viaggi che prendono forma in Vargas le trame di nuovi racconti d’architettura. Colmare, per quanto possibile, la frattura. Una città dove sperimentare una qualità dell’abitare nella rigenerazione del rapporto tra città fisica costruita, geografia (fisica, culturale ed economica), e città umana e sociale. San Prisco si svolge lungo uno stretto asse in direzione N/S dal Centro di Caserta verso l’autostrada (Figg. 7-8). Ha per fondale la piccola chiesa di San Felice e lungo il suo percorso, costruito dal fronte urbano compatto e ininterrotto di case, si dilata nello spazio delle corti. Il progetto per l’ampliamento della sede municipale coinvolge un tratto dell’asse in direzione della trasformazione e connessione di due corti. Una definita dall’emergenza architettonica del palazzo storico del municipio, l’altra, più avanti e sul fronte opposto, dal tessuto residenziale e dalla Torre dell’orologio. I primi bozzetti raccontano un progetto svolto attraverso la scelta (iniziale) di conservare il fronte residenziale (poi sostituito nel disegno della nuova piazza da un fronte fitto di alberature e poi ancora modificato dagli uffici tecnici comunali), definire un nuovo asse di collegamento sul quale costruire il fronte della nuova aula consiliare, la definizione di elementi primari: il portico, le nuove torri, un “passetto”, collegamento in elevato e memoria, antica, dei presidi al ribaltamento di murature opposte, lo spazio aperto come luogo di relazione tra le parti e il paesaggio (Figg. 9-13) Nella corte dell’edificio storico il tema svolto è quello dell’innesto di nuove architetture (Figg. 14-15). Definizione e realizzazione, profondamente mutilata, si svolgeranno nel corso di dodici anni per gli avvicendamenti amministrativi del comune. Molto (troppo) non è stato fatto. Tuttavia Vargas sottolinea l’importanza che «resta l’impronta di un pezzo di città che l’intervento ha modificato». Resta il tema della forma della città in contrasto a scelte amministrative che relegano l’architettura a un ruolo accessorio denunciato da De Carlo e citato da Vargas in merito ad un auspicabile ritorno dell’architettura a ricoprire il «ruolo e la responsabilità sociale» che le compete.
Note
(1) LEVI C., L’arte e gli italiani, in G. Biondillo, Carlo Levi, Elio Vittorini, scritti di architettura, Torino, Testo&Immagine, 1997, p. 46. «Tratto dal Coraggio dei miti, Bari, De Donato, 1975, p. 75-89. Il saggio, scritto nel dicembre 1954…», dalla nota in calce al testo nella pubblicazione di Gianni Biondillo. (2) DALISI R. in M. Costanzo, Tre progetti per l’area Campana, 2003, in http://www.michelecostanzo.com/articoli-dettaglio.asp?id=36 (3) VARGAS D., Racconti di qui, Caserta,Tullio Pironti, 2009. (4) LEVI C., op.cit., p. 36. (5) SERRES M., Roma, il libro delle fondazioni, Firenze, Hopeful Monster, 1991, p. 28. (6) VARGAS D., op. cit. (7) LEVI C., op. cit., p. 35. (8) NEGRI A., Kairos Alma Venus, Multitudo. Nove lezioni impartite a me stesso, Roma, Manifestolibri, 2006. (9) QUARONI L., Il cuore della città, in “L’architettura cronache e storia”, n. 238-239, agosto-settembre, 1975.
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