Petra Ceferin. Trasformare la realtà con l’architettura
Il contributo finlandese
Gina Oliva
Con il saggio “Trasformare la realtà con l’architettura: il contributo finlandese”, Petra Ceferin ha vinto la seconda edizione del Premio Bruno Zevi per un saggio storico-critico sull’architettura (1) la cui cerimonia di assegnazione del riconoscimento si è svolta a Roma mercoledì 14 gennaio presso l’Aula Magna della Facoltà di Architettura “Valle Giulia”.
L’aspetto interessante del testo risiede nel suo essere trait d’union delle principali ricerche condotte dall’autrice negli ultimi anni: non è cioè né punto di partenza né punto di arrivo, quanto piuttosto tappa intermedia di una riflessione più ampia i cui due poli tematici sono espressi in modo programmatico sin dalla scelta del titolo: l’idea di architettura come trasformazione della realtà e l’analisi dello specifico caso finlandese nel contesto storico degli anni ’50 (2).
Chiare le premesse da cui l’autrice costruisce le fila del proprio discorso critico: pur riconoscendo la difficoltà e forse l’impossibilità, oggi come in passato, di una definizione univoca di cosa sia effettivamente l’architettura, possiamo tuttavia percepirne il suo dover essere rappresentato dal potere che essa ha di incidere in modo significativo sulla trasformazione della realtà esistente.
Non può esserci architettura, dunque, senza trasformazione della realtà: una trasformazione che opera nel presente, ma non è assoggettata ad esso, nella misura in cui è in grado di trascendere il dato per prefigurare condizioni altre (realmente nuove anche se non immediatamente verificabili) e nella misura in cui è in grado di innescare una serie di processi che influenzano e modificano il fare e il pensare l’architettura, permettendole di operare secondo il suo massimo potenziale.
Sulla base di tali premesse e rielaborando le considerazioni maturate nel corso dei suoi studi precedenti, Petra Ceferin ripercorre in modo analitico e puntuale lo scenario dell’architettura finlandese all’indomani della seconda guerra mondiale.
L’interesse di questa ricostruzione storico-critica è duplice. Da un lato consente di far luce, non solo sul contributo di una grande personalità come quella di Alvar Aalto , ma anche sul lavoro e sul progetto comune di una intera generazione di architetti (Aulis Blomstedt, Viljo Revell, Aarne Ervi ecc.) molto spesso rimasta nell’ombra del Maestro; dall’altro ci permette di rileggere la singola esperienza in chiave metastorica, isolandola cioè dalla specificità geografica e temporale per verificarne la validità in un contesto più ampio.
In una realtà periferica e all’epoca poco conosciuta a livello internazionale come quella della Finlandia, si sviluppano le condizioni per concepire e praticare l’architettura proprio secondo il suo massimo potenziale: sulla base di valori condivisi, l’architettura viene intesa come processo instancabile e continuo di trasformazione della realtà, come libero laboratorio in cui l’architetto non è al servizio di nessun altro interesse se non quello di prefigurare, attraverso il suo lavoro e il suo impegno, il migliore ambiente possibile per la vita dell’uomo.
Ed è un libero laboratorio proprio quella Villa Mairea, terreno di prova di un nuovo approccio all’architettura che si esplicita compiutamente nel principio operativo del razionalismo esteso: principio che non intende rinnegare o rifiutare tout court i dettami dell’architettura razionale (espressione che applicata al contesto specifico della Finlandia potrebbe risultare una tautologia), ma intende ampliarne le prospettive e trasfigurarne i contenuti attraverso il ricorso a quelle volontarie trasgressioni e interferenze, a quel necessario surplus che permette al razionalismo stesso di superare la sua componente eminentemente meccanica e acquisirne una ragionevolmente più umana.
Ma è un libero laboratorio anche l’intero Paese delle Meraviglie dove, non solo Alvar Aalto, ma tutti gli architetti finlandesi sono impegnati nel processo di ricostruzione di un paese profondamente colpito dai retaggi della guerra. Un lavoro corale che vede gli architetti operare a 360 gradi in tutti i settori, dalla costruzione di nuovi alloggi sociali per la popolazione, all’elaborazione e all’applicazione di principi e di sistemi per orientare i nuovi processi di standardizzazione e industrializzazione dell’edilizia.
Un libero laboratorio, tuttavia, che non avrebbe avuto modo di esplicitarsi in modo così compiuto ed efficace se non fossero state soddisfatte al contempo altre due condizioni ugualmente necessarie: la solidità della struttura professionale direttamente coinvolta nel processo di trasformazione (attraverso l’incessante supervisione dell’ordine degli architetti finlandesi, il SAFA) e la presenza di un apparato culturale e politico in grado di riconoscere il potere dell’architettura all’interno del processo di trasformazione della realtà e di contribuire attivamente alla sua promozione anche al di fuori dei confini propriamente nazionali.
Il secondo aspetto di interesse che ci restituisce la Finlandia degli anni d’oro raccontata da Petra Ceferin è, come abbiamo detto, la possibilità e la necessità di collocare un’esperienza circoscritta geograficamente e temporalmente all’interno di una dimensione metastorica in grado di suggerire spunti di riflessione soprattutto per il presente.
In questa ottica il concetto stesso di surplus, cioè quel “troppo che è proprio giusto” di cui Petra Ceferin ci propone un’immagine reale e compiuta attraverso l’analisi di Villa Mairea e attraverso il riferimento ai suoi episodi singolari (apparentemente irrazionali), può essere collocato all’interno di una prospettiva più ampia che non è legata solo a precise scelte compositive o figurative e che, quindi, trascende la dimensione di un singolo progetto.
Il concetto di surplus può essere interpretato, cioè, come il risultato positivo che si genera quando è verificata la sussistenza e la compresenza di tutte quelle precise condizioni che l’autrice individua come componenti sostanziali dell’ambizioso progetto finlandese (il libero laboratorio, la solidità della struttura professionale e la presenza di un sistema politico e culturale illuminato).
Tre direzioni di lavoro e di impegno che ricordano il rapporto trivalente tra Architettura, Etica e Politica che sembra essersi smarrito nel contesto specifico della contemporaneità.
Ed è proprio qui che risiede il vero valore del testo che, travalicando i confini di una trattazione specifica, esplicita il suo vero significato di critica alla visione contemporanea della pratica architettonica.
E’ evidente, infatti, che l’idea di architettura come trasformazione della realtà si pone in aperto contrasto con quelle che oggi appaiono le due posizioni prevalenti riguardo il modo di concepire il ruolo e il significato dell’architettura nell’era della globalizzazione. Queste due posizioni apparentemente opposte sono di fatto assimilabili: entrambe (un consapevole nichilismo disciplinare da un lato e una ricerca inesausta del nuovo dall’altro) sembrano abbracciare e sottoscrivere il volontario auto-esilio dell’architettura da quello che è il suo reale potere operativo, contribuendo, piuttosto che alla trasformazione della realtà, alla continua e inesorabile perpetuazione dell’esistente.
Quella che Petra Ceferin individua dunque come una terza via dell’architettura, una alternativa all’attuale paralisi e contraddizione della contemporaneità, non è tuttavia l’ennesima utopia (e qui emerge uno degli aspetti più importanti del testo), ma rappresenta un orizzonte perseguibile e concreto che trova nell’esperienza dell’architettura finlandese degli anni cinquanta non solo un precedente storico in grado di legittimarne l’esistenza, ma anche un esempio vincente in grado di incoraggiare e alimentare ancora oggi una ricerca e un impegno in tal senso.
E allora, come sostiene l’autrice, non importa che l’architettura del Paese delle Meraviglie non ci sia più, ma ciò che importa è che sia esistita. L’esperienza della Finlandia degli anni cinquanta non è un retaggio nostalgico, tanto meno la soluzione, il modello che stiamo cercando: è, piuttosto, il punto di partenza per cominciare a riformulare le nostre domande e a ricercare nel nostro tempo la giusta risposta.
Note
(1) La prima edizione del Premio si è svolta nel 2007 ed è stata vinta da Zeuler Lima con il saggio “Verso un’architettura semplice” sul Modernismo ibrido di Lina Bo Bardi.
(2) Petra Ceferin è autrice di “Constructing a legend. The international exhibition of Finnish architecture 1957-1967”, pubblicazione della sua tesi di dottorato sulla costruzione dell’immagine dell’architettura finlandese nel contesto internazionale durante le seconda metà del XX secolo; ed è co-autrice del testo “Architectural Epicentres. Inventing Architecture, Intervening in Reality”, pubblicato nel 2008. Attualmente è in preparazione un suo nuovo lavoro sull’analisi del potere dell’architettura nell’era della globalizzazione.
Autore |
Data pubblicazione |
Volume pubblicazione |
OLIVA Gina
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2009-01-27 |
n. 16 Gennaio 2009
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